mercoledì 11 gennaio 2012

Scetticismo

Ho fatto un nuovo colloquio, ieri.
In un'azienda bella.

Cioè: seria. Grande. Un nome conosciuto nella zona. Dove all'ingresso c'è una signora che ti chiede con gentilezza chi sei, e la vetrina verso l'esterno è pulita (sembra banale, ma non lo è).

Ho parlato con un signore posato, concentrato e sicuro, che mi ha parlato con calma e - mi sembra - con onestà.
Mi ha parlato di un lavoro a tempo determinato, al termine del quale si deve sloggiare; della loro organizzazione; delle loro esigenze.

E mi ha chiesto, anche. Perché te ne sei andata dall'ultimo posto di lavoro?
Ho provato a spiegarmi, spero di essere stata convincente.
Qua ho raccontato, in parte, la mia insofferenza - e sofferenza - nell'anno appena trascorso.
Ma mi rendo conto che potrei passare per una intransigente. Una emotiva che si stufa delle situazioni e semplicemente se ne va (non che non sia emotiva, e mi è successo tante volte di cambiare direzione, nel lavoro e negli studi). Una persona discontinua e di cui non fidarsi.

Ecco, signor responsabile del personale della ditta bella dove sono stata ieri mattina: io ho fatto un errore. Sono andata a lavorare in un posto, credendo si trattasse di una bella opportunità, e ritrovandomi in una palude di mancanza di professionalità. Un suicidio, praticamente.
Signor responsabile del personale, non mi giudichi per quell'errore, e mi dia la possibilità di lavorare con voi. Che anche se è per qualche mese, sicuramente nella vostra azienda ho tanto da imparare.

La concorrenza sarà agguerrita. Mi hanno contattato due agenzie, tra lunedì e martedì, proponendomi un colloquio nello stesso posto, e una terza ha pubblicato un annuncio: evidentemente 1) la necessità dell'azienda è stringente e 2) sono in linea con la loro ricerca.
Io tengo le dita incrociate, come al solito.

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